Blogtour "Il mio segreto" di Kathryn Hughes

Ciao a tutti cari lettori! Oggi vi presento un libro davvero emozionante, edito Nord. Si tratta del nuovo romanzo di Kathryn Hughes, l'autrice di La lettera: Il mio segreto.
In questa tappa del BlogTour vi presento l'incipit.


"Giugno 1975
 Il suo primo matrimonio con Thomas Roberts era stato a cinque anni, nel cortile della scuola. La cerimonia era stata programmata con giorni d’anticipo e lei si era fatta una specie di velo con una tenda di pizzo di sua madre e l’aveva fissato con una coroncina di margherite; tutti avevano ammesso che sembrava una sposa vera. Thomas le aveva regalato un mazzolino di fiori selvatici raccolti mentre veniva a scuola, poi si erano dati la mano e il piccolo Davy Stewart aveva officiato il rito. Davy soffriva di una forte balbuzie e i suoi occhi sembravano enormi dietro le lenti spesse come fondi di bottiglia, ma cantava nel coro della chiesa ed era quanto di più vicino a un parroco avessero a disposizione. Mary sorrise al ricordo e si mise di profilo per guardarsi nel grande specchio a figura intera. Si accarezzò con tenerezza il ventre prominente, ammirando la perfetta rotondità che sporgeva da sotto il seno. Si posò le mani alla base della schiena e si avvicinò allo specchio, sperando di trovare il viso più radioso. Prese dalla toeletta le scarpette di lana gialle che aveva comprato da Woolworths e le annusò, ma senza i piedini di un bimbo a riscaldarle avevano uno sterile odore di nuovo. Quando udì il marito che saliva le scale, rimise le scarpine nel cassetto e riuscì appena in tempo a sfilarsi il cuscino da sotto il vestito, prima che lui aprisse la porta della camera. «Tesoro, sei qui? Che stai facendo?» Lei sprimacciò con forza il cuscino e lo sistemò sul letto. «Niente, mettevo un po’ in ordine.» «Ancora? Vieni qui.» L’attirò a sé, le scostò i capelli biondi e la baciò sul collo. «Oh, Thomas, e se non fossi incinta?» Non voleva essere lagnosa, ma aveva già avuto tante amare delusioni e ormai faceva fatica a mantenere l’ottimismo. Lui la prese in braccio e la stese sul letto, affondandole il volto nell’incavo del collo. «Allora dovremo continuare a provarci.» I suoi capelli avevano l’odore familiare e persistente della polvere di carbone. «Thomas?» «Dimmi.» «Se sono incinta ti licenzi, vero?» Thomas sospirò. «Sì, Mary, se è questo che vuoi.» «Non posso occuparmi di un neonato e gestire la pensione da sola.» Thomas la fissò con la fronte solcata dalla preoccupazione. «Sarà dura comunque, Mary. Ci hanno appena aumentato la paga del trentacinque per cento. È una bella somma cui rinunciare, te ne rendi conto anche tu.» «Lo so, amore, ma lavorare in miniera è troppo pericoloso, e poi tu detesti fare il pendolare.»
«Su questo hai ragione. A che ora hai appuntamento dal medico?» Lei gli sfiorò la guancia con un dito. «Alle tre. Vorrei potessi accompagnarmi.» Le baciò il polpastrello. «Lo vorrei anch’io, Mary, ma ti penserò tanto e poi possiamo festeggiare quando torno, che ne dici?» «Odio quando fai il turno di notte.» «Neanche per me è una passeggiata», disse il marito con un sorriso, senza traccia di rancore. Si mise a sedere sul letto e Mary gli si accoccolò accanto, mentre lui s’infilava gli stivali. «Ti amo tanto, Thomas.» Lui le prese la mano, intrecciando le dita alle sue. «Ti amo anch’io, Mary, e so che sarai una madre straordinaria.» Erano tre anni che cercavano di avere un bambino, dalla prima notte delle nozze «ufficiali». Mary non credeva sarebbe stato così difficile e, arrivata a trentun anni, temeva di non avere più molto tempo. Era nata per essere madre, lo sapeva – l’aveva sempre saputo – e non capiva perché Dio la stesse punendo in quel modo. Ogni mese, quando avvertiva quella sensazione familiare che preludeva ai crampi alla pancia, perdeva un po’ di ottimismo, mentre la smania di avere un figlio non faceva che aumentare. Provava il desiderio struggente di essere svegliata alle quattro del mattino dal pianto di un neonato; voleva assaporare la gioia di avere un secchio di pannolini sporchi in ammollo in un angolo della cucina. Non vedeva l’ora di guardare negli occhi il suo bambino e leggervi il futuro. Soprattutto desiderava vedere Thomas mentre cullava il figlio – o la figlia, poco importava – tra le sue braccia robuste e sentirlo chiamare «papà». Per strada s’incantava davanti ai neonati e guardava storto le madri che sgridavano i figli. Una volta aveva perfino soffiato il naso a un bambino, visto che quella buona a nulla di sua madre non si era nemmeno accorta che il figlio stava per leccare il moccio che gli colava sul labbro. Inutile dire che la sua ingerenza non era stata apprezzata. Un’altra volta, sulla spiaggia, aveva incontrato un ragazzino seduto tutto solo a riva, in preda a singhiozzi convulsi, di quelli che fanno i bambini quando hanno pianto troppo. Mary aveva scoperto che gli era caduto il gelato sulla sabbia dopo una sola leccata e la madre si rifiutava di comprargliene un altro. Allora l’aveva accompagnato per mano fino al furgone dei gelati e gli aveva preso un 99 – un cono alla vaniglia con dentro una barretta di cioccolato –, solo per vederlo tornare a sorridere. Il suo istinto materno affiorava sempre più spesso e lei moriva dalla voglia di poter finalmente crescere un figlio suo e di Thomas. " 

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